La giornata trascorsa nel Parco Nazionale di Khao Sok è stata una delle più intense e divertenti del mio viaggio nel Sud Est asiatico. Tra tutte, è forse la meta che mi ha stupita di più, perchè sapevo davvero poco di questa tappa: la mia curiosità era stata catturata da nomi altisonanti di località celebri e forse per questo motivo scoprire una bellezza così selvaggia e autentica ha fatto sì che il ricordo di quel giorno sia rimasto vivido anche a distanza di mesi. Il racconto di oggi, quindi, è ambientato in questo remoto angolo della Thailandia del sud; è il racconto di una giornata avventurosa, ma anche, e soprattutto, il racconto di una lezione di vita imparata navigando sulle acque del Chiaw Lan Lake: quel giorno ho imparato che viaggiare significa anche non permettere che l’attimo presente sia fagocitato da aspettative e preconcetti.
Non so voi, ma io prima di partire controllo sempre, ossessivamente, le previsioni metereologiche. Durante il mio viaggio in Thailandia il meteo è stato a dir poco impietoso: più si avvicinavano gli spostamenti verso il sud del Paese e più peggioravano le previsioni. Quindi, quando sono arrivata all’aeroporto di Surat Thani e ho visto nuvoloni neri addensarsi ho pensato che anche quella tappa sarebbe stata irrimediabilmente rovinata. Dopo una bella dormita ho indossato vestiti e scarpe comode e, con un po’ di scetticismo, sono partita per la sola escursione che avrei fatto durante la mia permanenza al Parco. Dopo un’oretta sono arrivata ad un imbarcadero: qui c’era una long tail boat, la tipica imbarcazione thailandese che aspettava me e i miei compagni di viaggio. Man mano che la barca si allontanava dalle rive del lago Chiaw Lan, un bacino artificiale creato attraverso una diga, il paesaggio diventava sempre più surreale e incantato: rocce calcaree che sbucavano dall’acqua, le cime delle montagne nascoste dalla nebbia e i nastri colorati della barca agitati dalla corrente.
Dopo circa un’ora di navigazione, lo scenario cambia: la barca si insinua lenta tra le rocce ricoperte di vegetazione verdissima che si specchiano nell’acqua anch’essa di colore verde smeraldo.
Adesso, bando alle ciance, lacci delle scarpe ben stretti, bastone da profeta in cammino e si parte per il trekking nella foresta! Il percorso è accidentato ma complessivamente agevole e si conclude in un altro piccolo imbarcadero, nascosto tra le montagne come una gemma, ancora una volta, di colore verde.
La barca, costruita con piccoli tronchi affiancati gli uni agli altri, stavolta conduce all’ingresso di una grotta: una galleria d’arte di Madre Natura che custodisce stalattiti e stalagmiti dalle forme più varie. La grotta è buia e la guida, un ragazzo magrolino e sorridente che durante l’escursione ha ricoperto tutte le mansioni, da marinaio a speleologo, mostra con una torcia le opere d’arte nascoste in questo ipogeo, cercando di riconoscere Buddha o figure di animali.
All’uscita dalla grotta, lascio con un po’ di titubanza la mia torcia da giovane esploratrice e sono costretta ad indossare una mantellina per proteggermi dalla pioggia scrosciante che non pare voler dare tregua. Il percorso di ritorno in mezzo al fango e sotto la pioggia, che continua a scendere impietosa, è meno piacevole ma la barca ci aspetta per poratarci a pranzo, quindi sfrutto le ultime energie per arrivare (diritta) alla meta.
Dopo pranzo poi mi ritaglio un momento tutto mio: il temporale è passato, mi siedo con le gambe a penzoloni, con i piedi che sfiorano l’acqua, e rapita da quello scenario che sembrava dipinto, inizio a vagare con la mente. In quel momento ho pensato a come stava procendendo quel viaggio, agli imprevisti, alle persone di cui sentivo forte la mancanza che erano lontane, dall’altra parte del mondo, e a mille altre cose. Ho provato una sensazione particolare, un misto di serenità e di malinconia, nell’accezione positiva che questo termine assume per me. Forse sono stata un po’ profetica quando, nel mio post pre-partenza, ho scritto che viaggiare è come fare un salto nel vuoto, che a volte i programmi vanno a rotoli a dispetto di qualunque mania di controllo. Il mio viaggio nel Sud Est asiatico mi ha insegnato, tra le mille altre cose, ad assaporare le cose così come vengono, anche se non sono perfettamente sovrapponibili all’idea che mi ero fatta prima di partire. Non avevo programmato, ad esempio, di fare trekking nella foresta con una mantellina impermeabile addosso per proteggermi dalla pioggia scrosciante: so che può sembrare curioso, ma mentre tornavo in hotel, dopo la lunghissima giornata trascorsa nel Parco di Khao Sok, ho pensato che, in fondo era stato bello anche così. Sono giunta alla conclusione che le fotografie che avevo scattato magari non ritraevano cieli azzurri e acque cristalline, come quelle che avevo visto in giro per il web prima di partire, ma quelle foto imperfette raccontavano una storia, celavano degli aneddoti, descrivevano il mio viaggio… quello “vissuto” e non solo immaginato.
Categorie:asia, thailandia
Posti stupendi, come l’articolo ovviamente, esperienza bellissima!
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Lo è stata davvero, infatti ne ho un bellissimo ricordo! Grazie per essere passata di qui 😊
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Le fotografie sono pazzesche, rendono così bene il luogo che hai visitato! Complimenti!
L’escursione mi piace e sono certa che la farei anche io!
Ps. ma che colore di occhi hai? Bellissimi Eli! 😀
Un bacione ❤
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Grazie Lu! 😍
È stata un’esperienza molto bella, che non mi aspettavo perché non conoscevo bene la meta. Ma la consiglio a tutti quelli che programmano un giro in Thailandia 😊
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